Intervista a Tremonti/Questa Italia ancora divisa a metà Mezzogiorno, impegno primario Stefano Folli ha intervistato il ministro Tremonti al 46° Congresso Pri. Folli Saluto il Ministro Tremonti. Parleremo naturalmente dei temi della crisi della Libia e dei temi che ci inquietano, ci preoccupano. Visto che siamo nella cornice di un antico partito risorgimentale, siamo alla vigilia del 17 marzo, allora, chiedo a Tremonti: con quale spirito l’Italia vivrà questa ricorrenza? Tremonti Intanto grazie per l’invito. Ieri sono usciti i dati statistici sulla ricchezza come stock e come flusso sulla ricchezza in Europa. E parto da questi per una risposta che non è economica, ma politica, alla domanda di Stefano. Da quei dati viene fuori e, sono dati strutturati, non sono dati occasionali o casuali, viene fuori che il nord ovest o il nord est quindi il nord Italia è la Regione più ricca d’Europa - e per inciso - di conseguenza, del mondo, come struttura di ricchezza, ripeto, e come PIL pro capite Se si aggiunge il centro, allora il centro nord è più ricco della Germania, più ricco della Francia, più ricco dell’Inghilterra. La risposta alla domanda la metto giù in questi termini. 40 milioni di abitanti - quanto sono il nord e il centro - hanno un livello di ricchezza, di reddito, di struttura nella media o sopra la media Europea. Però 20 milioni di italiani, quanti sono come se fosse la somma di Portogallo e di Grecia, 20 milioni sono molto sotto quei numeri, quella media. Non è facile adesso dire quanto rispetto alla Grecia, al Portogallo, ma certamente viene fuori un dato politico, l’Italia è un paese duale. L’Italia è l’unico paese europeo che contiene in sé un così profondo e marcato differenziale di ricchezza e, di conseguenza, un differenziale di struttura sociale civile complessiva. Il centro nord - 40 milioni di abitanti - è grande come una media nazione europea e più o meno fa la sesta potenza economica del mondo; c’è naturalmente la seconda potenza economica del mondo, ma sono un miliardo e mezzo di persone. Questa è una grandezza di quaranta milioni di persone Le statistiche che ci sono fanno vedere, che ci pubblicano sui giornali, sulla ricchezza, sul prodotto, sulla competitività italiana sono basate su una media che non è mediana, perché c’è un differenziale interno profondissimo e purtroppo è un differenziale che sta crescendo in modo asimmetrico, se volete in modo inaccettabile, perché la quantità dei trasferimenti aumenta, è aumentata negli ultimi dieci anni ma il differenziale di ricchezza è aumentato paradossalmente, a sua volta. Per tanto tempo abbiamo temuto che i trasferimenti dall’Europa al meridione fossero a finire, purtroppo sono a salire. I trasferimenti non sono dall’Europa al meridione, sono trasferimenti dall’Italia all’Europa che ne trattiene un pezzo e lo retrocede. Oggettivamente quello che era il nostro timore, lo sviluppo del meridione, determina la caduta di quei flussi che vanno in altre zone dell’Europa, quella ipotesi che si temeva è caduta a seguito di un dato che è ancora più negativo, e cioè è la prova che il mezzogiorno sta andando indietro. E’ la prova che le politiche fatte in questi dieci, quindici anni sono sbagliate. E’ la prova che c’è qualcosa che non funziona. Siccome non vogliamo che l’Italia sia un paese diviso, assolutamente non deve e non può essere un paese diviso, non può essere più un paese duale. E questo è il punto fondamentale. L’unità d’Italia, compiuta per molti tratti, per molti elementi, non è ancora compiuta sul piano della equiparazione economica. E quando dico economica non dico solo economia, dico soprattutto politica. Questo vuol dire che noi dobbiamo pensare al mezzogiorno in modo diverso e pensare a politiche di tutti diverse rispetto a quelle fatte finora. Perché non sappiamo se le nuove politiche funzioneranno, sappiamo che le vecchie non hanno funzionato. Ripeto, siccome nessuno vuole che l’Italia sia un paese diviso, non può continuare ad essere un paese duale. Folli Quindi che cosa bisogna fare per evitare di insistere in questo errore, in questo dualismo, che cosa manca perché si prenda una maggiore coscienza e si intervenga, quali sono le correzioni da fare alle politiche sbagliate seguite finora? Tremonti E’ mancato lo Stato. Lo Stato è importante dappertutto ma è soprattutto importante nel mezzogiorno, la caduta dei meccanismi, la fine dei meccanismi di intervento nazionale, l’illusione che la sostituzione giusta fosse quella Regionale, ha portato al declino del mezzogiorno. La mia idea è che la questione meridionale non è la somma delle questioni regionali, perché nelle regioni le politiche sono state - nel sud - troppo locali. Per essere chiari, e per parare l’obiezione: le regioni del nord ragionano come sistema, pensano e fanno la loro attività in una logica di sistema. Certo, ci sono interventi Piemonte su Piemonte, ma la visione è il grande corridoio che va da ovest ad est, il grande asse che va da nord a sud. Nel mezzogiorno è mancata negli ultimi anni una politica di regia nazionale, una politica che riducesse gli egoismi o i miopismi regionali in una logica nazionale. Io ho fatto per tanti anni il Presidente del Cipe come Ministro dell’Economia. Il Cipe è l’organismo di spesa. Quello che mi ha sempre impressionato e alla fine ho capito, quello che mi ha impressionato è la quantità enorme dei soldi spesi che veniva dalla periferia verso il centro ed era tutta quasi sempre limitata a piccoli interventi. E’ anche logico: se tu sei l’imprenditore di un posto piccolo non pensi a un’opera grande, pensi a un’opera piccola, pensi alla pavimentazione di una strada, al restauro di un palazzo, di un edificio; la dimensione che hai è quella limitata al campo di visione, all’attività che fai, e allora contatti il politico locale, che contatta il politico centrale. E alla fine arriva al Cipe una micro-opera. Alla Commissione europea, visitando gli uffici, ho visto che nei corridoi c’erano i poster delle grandi opere di infrastrutture degli altri paesi. La domanda è stata: perché non ci sono i poster italiani? La risposta è stata: perché non ci sono infrastrutture italiane. Hanno tirato fuori un libro, ed era una quantità impressionante di fotografie di micro-interventi: restauri, campeggi, agriturismi. Invece di avere, come è stato nei primi anni del dopoguerra, un grande movimento dal centro sulle grandi opere, comunque con una grande visione, purtroppo il movimento è stato dalla periferia verso il centro su piccole opere. Questo ha determinato una colossale dispersione di denaro pubblico. Non c’è stato un effetto di scala, di leva, per cui due più due fa cinque. Probabilmente due più due ha fatto tre, perché si è aperto un circolo di spesa pubblica non caratterizzato dall’etica pubblica. Se scendi di livello hai il rischio di essere preso da forze che vanno verso la non legalità o altro. Quando io ho fatto la proposta di rifare la Cassa del mezzogiorno o la Banca del mezzogiorno, io non ho avuto l’obiezione da parte della Lega, l’ho avuta da altri. Questo dà l’idea della deformazione mentale. Un altro dato: ho fatto un viaggio verso Reggio Calabria, e poi sono risalito, e lì quello che ti impressiona è che siamo andati con la logica del mercato dove serviva lo Stato. Certo meccanismi vanno bene dove c’è mercato, in Olanda, in Lombardia. Ma in troppe parti del mezzogiorno la cosa più vicina al mercato è la cosca. Vai direttamente alla malavita. Se ci fosse stato lo Stato, se ci fosse stata l’Iri, se ci fossero stati i grandi interventi pubblici, probabilmente quella dimensione avrebbe consentito di fare opere. Cosa bisogna fare? Bisogna tornare a quella logica. Folli E’ un po’ una dichiarazione di fallimento politico Tremonti Si, ma non mio. Quando uno eredita la tradizione del Cipe… Ad esempio: il convegno "Mille idee per il Sud"; di idee forse ne bastavano 10. Credo che sia arrivato il tempo di pensare a cose che marcano e simboleggiano lo Stato. Quello che c’è stato è un eccesso di regionalismo. Se tu sei l’amministratore di una regione, tu pensi all’elezione, alla scadenza, al tuo interlocutore che è abbastanza piccolo. Invece dovresti avere la forza di guardare un po’ più in grande. Quando ho cercato di tirare fuori l’idea della Banca del Mezzogiorno, tu eri direttore del Corriere, feci quell’articolo intitolato: "Quella banca che il sud non ha". E la domanda era: perché il mezzogiorno d’Italia è l’unica regione d’Europa che non ha una banca propria? Ma le ha avute, ha avuto le grandi banche. Poi le ha perse, e forse non è il caso di rifare quelle storie, ma non è la prova di una vocazione negativa del mezzogiorno ad essere un’area totalmente senza banche. Ora la Banca del mezzogiorno sta finalmente venendo fuori. E’ stata un’operazione complessa, siano in attesa finalmente dell’autorizzazione, ma fondamentalmente è una grande struttura. Abbiamo provato a farla in tanti modi ma non è semplice. Alla fine è venuta una composizione mista che parte dalle Poste italiane. Ma è la Banca del mezzogiorno. Io credo che un cambiamento di questo tipo non può avvenire in un giorno. Ci deve essere un giorno in cui tutti quanti cominciamo a dire: quello che è stato fatto non va bene, quello che va fatto lo dobbiamo fare tutti insieme, ma deve essere diverso da ciò che è fallito Folli Uno scenario cosi fa pensare che tutte le forze responsabili, di maggioranza e opposizione, si mettano lì a ragionare su questo spaventoso fallimento e tutti insieme decidano di fare qualche cosa per voltare pagina. Ma non mi sembra che siamo a quel punto. Tremonti Non siamo ancora a quel punto, però ci sono molte forze intellettualmente libere che hanno formulato valutazioni di questo tipo. Uno per tutti è Nicola Rossi. Folli Infatti non è più in Parlamento. Tremonti Io credo che parlare con le regioni, cercare di lavorare insieme su alcuni grandi progetti, abbandonando la logica dei microprogetti, possa essere un passaggio importante. Se ci sono state difficoltà non sono venute dal nord. Folli Parliamo della grande crisi in cui siamo precipitati. La Libia sta bruciando. In Libia abbiamo forti interessi economici, l’Europa dà l’impressione di non aiutarci moltissimo. Il Ministro Tremonti è preoccupato, considerando l’impatto energetico e l’impegno economico delle nostre aziende? Un impatto che potrebbe essere anche recessivo, considerando la situazione del nord Africa. Tremonti Quando si è prospettata la crisi, avevo ben chiaro che in greco crisi vuol dire discontinuità, rottura di continuità. L’illusione, l’impressione di molti, è che fosse un ciclo economico. Ma c’è una grande differenza tra un ciclo economico e una crisi. Un ciclo economico è uno spostamento su una linea di continuità; crisi è discontinuità, non necessariamente negativa, ma è una discontinuità. Cercando di rappresentare la crisi, io ho usato l’immagine del videogame. Sei in un videogame, arriva un mostro, lo batti, sei li che ti rilassi, arriva un mostro più grande del primo. Il primo mostro è stata, a ridosso del 2008, la crisi bancaria americana che si è abbattuta sulla struttura sottostante dell’economia reale. Ha modificato le strutture di governo del mondo. Il vecchio G7 è stato sostituito dal G20. Ma la crisi è stata in qualche modo gestita. C’è stato largo utilizzo delle finanze pubbliche. E’ iniziata una fase di normalità. Il secondo mostro è arrivato in Europa con la stessa forma del primo. E’ stata meno drammatica, perché i meccanismi erano stati sperimentati, ma è la grande crisi bancaria che è in atto in questo momento in Europa. Per come la vedo io: prendete un foglio bianco, tracciate sulla base una linea orizzontale. Questa è nel vecchio mondo, prima della globalizzazione, la base. C’era dentro nel vecchio mondo la famiglia umana ammessa al mercato, un miliardo di persone. Su quella linea si sviluppavano le operazioni commerciali reali. Per ogni operazione reale c’erano tre o quattro operazioni finanziarie, tutte strumentali rispetto alle operazioni reali. Con la globalizzazione, la linea si estende, passiamo da un miliardo a quattro miliardi di persone. Le operazioni reali si sviluppano ma sopra le operazioni reali si moltiplicano quelle finanziarie. In termini sintetici: la moneta cessa di essere oggetto della sovranità degli Stati. I derivati in questo momento hanno la stessa massa che avevano prima della crisi. Per ogni operazione reale ce ne sono mediamente venti di finanziarie. La dinamica delle operazioni finanziarie è totalmente scollegata dalle operazioni reali. Per ogni operazione di compravendita di un barile di petrolio, c’è ne sono "x" che sono finanziarie e tutte fini a se stesse. La logica è prevalentemente speculativa. Sopra la massa dell’economia reale si è creata una massa sconfinata di finanza. Dalla massa della finanza è venuta giù la prima crisi. Poi siamo tornati su, ma non è stato fatto ancora abbastanza. Non è stato fatto abbastanza in America. La legge americana non è particolarmente rigorosa, quella Europea è molto più rigorosa, ma non c’è ancora perché la macchina legislativa europea è molto più articolata e complessa. In Europa ci dicono che abbiamo la crisi dei debiti pubblici, non è vero. Per noi il debito pubblico è un vincolo, ma la crisi che c’è adesso in Europa è una crisi delle banche. Non è una crisi delle banche italiane. La Grecia è stata un caso molto domestico e poco sistemico. L’Irlanda è un caso poco domestico e molto sistemico. Sull’Irlanda ci sono delle banche globali. La parte di buco che c’è in Irlanda è tra i cinque e i seicento miliardi. Ben poco tutto questo ha a che vedere con il deficit pubblico dell’Irlanda, che era minimo. Como sono distribuiti questi miliardi? Sono 180 di pertinenza delle banche tedesche, 180 delle banche inglesi, 100 americani, in Italia 22. La nostra posizione è: vogliamo concorrere ma non siamo causa del problema, siamo parte della soluzione. E’ un po’ diverso. Perché si insiste con demonizzare i governi? Perché per dieci anni nessuno ci ha detto che alla stabilità dell’euro poteva attentare la finanza privata. Ci hanno detto che era un pericolo il debito pubblico: è vero, va controllato. Che è un pericolo l’inflazione: è vero, va controllata. Ma nessuno ci ha detto che alla stabilità della moneta poteva attentare una finanza degenerata. Questo spiega anche l’elevatissimo tenore di vita che si è sviluppato in molti paesi del nord. Ci hanno detto: l’Italia non cresce abbastanza. Per la verità l’Italia in questi anni è rimasta la zona più ricca del mondo o d’Europa, perlomeno nel nord. E se è andata indietro nel sud, è per altre ragioni. Perché insistono sui debiti pubblici? Perché non hanno voglia di spiegare che c’è stato un colossale buco nella sorveglianza della finanza. Se tu sei il governo di un qualche virtuoso paese del nord, hai qualche difficoltà ad andare a dire ai tuoi cittadini che ci sono alcuni problemi delle banche, che poi diventano problemi della gente e poi problemi del tuo bilancio pubblico. Fate conto che sui paesi periferici, esclusa l’Italia, l’esposizione della Germania è il 14 per cento del PIL. Lo stesso si può dire della Francia e dell’Olanda. E’ più facile dire: colpa degli altri. E’ più difficile dire: forse abbiamo qualche problema noi. Questa è la seconda entità da videogame che arriva, e la stiamo gestendo, si spera in un modo costruttivo. Notevole è stato il contributo del governo italiano. Quando nell’ottobre del 2008 abbiamo proposto di fare un fondo europeo, tutti hanno detto: non si può fare, è sbagliato. Nel maggio del 2010 è stato fatto un fondo europeo. Ma arriva la terza entità. Tu dici che è la Libia, ma io vorrei estendere le nostre riflessioni su un arco più lungo che va dall’Atlantico all’Oceano indiano e può arrivare anche in altre parti dell’Asia. L’innesco è certamente stato fatto dalla speculazione, entità che sta dentro quella massa che incombe sull’economia reale. Nel 2008 noi abbiamo chiesto al fondo monetario un rapporto sulla speculazione. Conserviamo agli atti un rapporto che ci spiega che la speculazione non esiste. La colpa è del mercato. Tu puoi anche immaginare che sia il mercato, però dei movimenti così bruschi e violenti in un tempo così breve non si spiegano con la domanda. Queste cose non dipendono dal naturale sviluppo delle abitudini economiche dei popoli. E’ la speculazione. La speculazione ha innescato la catena delle rivolte del pane. E’ una costante di molti paesi il caso della rivolta del pane. Se aumenta il consto della vita in occidente, è un problema. Ma se aumenta il costo della vita in un paese povero è la fine della vita. L’impatto è molto diverso. La cascata dei fenomeni si è drammatizzata perché alla speculazione si sono aggiunti fatti naturali, ad esempio i grandi incendi in Russia. Fondamentalmente la speculazione ha innescato la dinamica delle rivolte. Mai tanti hanno sofferto tanto per così pochi. La speculazione poteva essere ridotta: erano le proposte del Governo italiano che risultano agli atti, tra l’altro uguali a quelle fatte nel Congresso americano. Vale a dire: fare un deposito in modo da interrompere la meccanica speculativa. Non è stato cosi, la speculazione non è stata controllata, si è sviluppata, ha fatto salire del 40 per cento in un anno il costo delle derrate di molti prodotti alimentari e ha innescato una catena di rivolte. In Eritrea c’era il Ministro del pane. Quando c’era una rivolta gli tagliavano la testa. Il meccanismo di crisi inizia in questo modo e poi si diffonde. Io credo che sia presto per fare una analisi della meccanica in atto. Sono tutti giovani, quello è un mondo fatto da giovani. Sono poveri, sono terribilmente poveri e vengono anche sfidati dalla corruzione dei regimi. Folli Rispetto a tutto questo l’Europa sembra essere stata presa in contropiede. Non se l’aspettava, dà l’impressione di non saper gestire questa vicenda. Tremonti Ma quanto c’entra la componente islamica? E’ da vedere. Probabilmente a valle ci sarà un effetto di reazioni identitarie, ma molti paesi in rivolta sono paesi islamizzati, è quindi difficile pensare che la causa della rivolta sia di tipo religioso o anti-occidentale: è un mondo molto complesso. Che ruolo hanno avuto i social network, e chi li ha messi in campo? Sicuramente non c’è più il vecchio meccanismo americano di controllo. E che fine faranno in Africa le colonie della Cina? Restano ancora in piedi o magari succede qualche cosa anche lì? Un alta domanda: i fondi sovrani. Quando c’è la rivoluzione bolscevica, i bolscevichi ripudiano tutte le posizioni finanziarie. Qui è esattamente l’opposto: che cosa faranno i fondi sovrani di alcuni paesi? Continueranno ad investire o disinvestono? Io credo che sia molto presto per fare valutazioni specifiche. Credo che sia un fenomeno che non abbiamo mai visto. Un fenomeno in atto, ma era difficile prevedere quando e dove. Nel ‘94 io ho scritto un libro intitolato "Il fantasma della povertà" e si parlava delle conseguenze della globalizzazione. A Marrakech in Marocco nel maggio del 1994 fu fatto il World Trade: ironia della storia, parte dal Marocco un meccanismo che alla fine ci porta a una cascata di fenomeni che è ancora difficile da decifrare. L’Europa: credo di conoscere abbastanza i meccanismi politici dell’Europa. Quando, dopo l’11 settembre, abbiamo proposto di mettere delle sedi della Banca Europea degli Investimenti in Africa e nei Paesi Arabi, la reazione fu: la dimensione baltica è più importante di quella mediterranea. L’Europa è entrata in questa crisi con enormi problemi. Adesso ho l’impressione che la dimensione mediterranea emerga nella sua drammatica evidenza. Non sono negativo. Quando foglio far arrabbiare i miei colleghi, dico: qui facciamo la fine della Società delle Nazioni. Ma alla fine poi vengono fuori dei meccanismi che non sono istantanei e che presuppongono delle accumulazioni culturali, di dialettica. Passando al confronto fra Continenti, al confronto con l’Africa, che cosa possiamo immaginare? Il rischio di una instabilità. Certo il petrolio ha prodotto negli anni ‘70 effetti di grande instabilità. Sarà ancora così? Possiamo immaginarlo, ma non è ancora detto. Il vero grande rischio invece è quello della democrazia in Europa. Che impatto avrà tutto questo sulle democrazie? Per essere chiari: c’è il rischio dell’estrema destra. Il rischio c’è già perché molte delle gloriose democrazie del nord sono già dominate - dall’esterno - dall’estrema destra. I governi dell’Olanda, della Svezia, della Finlandia, sono governi di minoranza, dove il complemento al 51% è dato dall’estrema destra. Nell’Europa orientale ci sono Parlamenti con dentro gente in divisa. Immaginate tutto questo fra qualche anno. Io credo che la politica debba essere anche la capacità di vedere in avanti. Uno dei rischi è quello per la nostra democrazia. L’impatto che può avere questo caos può essere anche un impatto dal lato dell’estrema destra. Credo di aver detto fin troppo. Folli A marzo in Europa c’è un importante appuntamento dedicato alla governance delle politiche di bilancio. L’Italia come si presenta? Tremonti Dopo la crisi della Grecia ci fu un vertice che si risolse con una architettura politica dell’Europa. E’ un’architettura che si basa su un quadrilatero, su quattro pilastri. Il primo è la BCE, con una attività un po’ diversa da prima, un po’ più a difesa della nostra moneta. E’ un’attività meno dinamica di quella che avviene in America o in Inghilterra, ma sta facendo un po’ più di prima. Il secondo pilastro è il Fondo Europeo, che è una base di attività comune. Noi speriamo che alla fine quel fondo non serva solo a stabilizzare la moneta ma possa essere una base per una grande avventura politica che è quella degli Eurobond. Quella degli Eurobond è un idea politica, non è un’idea economica. Viene ostacolata per ragioni più politiche che economiche, perché si vede negli Eurobond il nucleo di una Unione Europea. Altro pilastro: le politiche di bilancio fatte in Europa. In Europa abbiamo capito che non possiamo continuare a fare più debito che ricchezza, più deficit che PIL. E’ finita l’età coloniale, tanto per essere chiari. Nn abbiamo più la rendita che avevamo, non possiamo più piazzare i nostri titoli e i nostri prodotti quando volevamo e ai valori che volevamo. Dobbiamo tutti ridurre i nostri bilanci pubblici. E questo pone dei problemi politici. In tutta Europa si fanno politiche di disciplina di bilancio. L’ultimo punto è il semestre Europeo, che è il punto politico più importane. Il semestre europeo non è qualche giorno intorno ad aprile, è il principio di una colossale devoluzione di poteri dagli Stati Nazionali a una sede europea comune Le politiche saranno coordinate lì. Abbiamo un continente, abbiamo una moneta, non possiamo continuare a fare caos con 27 politiche diverse. L’idea del semestre significa progressivo coordinamento delle politiche di bilancio e di sviluppo. In quella sede noi ci presenteremmo con le nostre idee di rigore e le nostre idee di sviluppo soprattutto per il sud, chiedendo deroghe rispetto agli schemi europei che nel sud producono effetti non particolarmente efficaci. Noi chiederemo questo. La discussione che è stata fatta nei giornali e nell’opinione pubblica italiana è totalmente priva di fondamento. Eventuali modifiche si fanno a partire dal 2015. Ma quanti dementi ho sentito dire: a marzo l’Europa ci imporrà una manovra da trenta miliardi. A marzo del 2015, semmai. Tutto quello che avete scritto, sperato, immaginato, temuto, è totalmente privo di fondamento. Se ci sarà una modifica del Trattato sarà a partire dal 2015. Sulle modifiche: come dice il mio collega Primo Ministro del Lussemburgo, se non si è d’accordo su tutto, non si è d’accordo su niente. La nostra posizione è la posizione che è ormai riconosciuta da tutti, è una posizione di buon senso comune. Noi diciamo una cosa molto semplice, guardando alla crisi dell’Irlanda e di altri paesi: l’attenzione va posta sui debiti pubblici ma anche sulla finanza privata. Un debito pubblico elevato è un problema, ma devi vedere anche la dinamica e l’ambiente in cui c’è quel problema. Un conto è avere un enorme debito pubblico e non avere altro; un conto è essere la sesta potenza industriale del mondo. Tanti hanno sperato il contrario. Ma noi siamo ancora la sesta potenza industriale del mondo, abbiamo la seconda manifattura d’Europa, abbiamo una notevole attitudine al risparmio, di riflesso abbiamo un sistema bancario solido, abbiamo fatto la migliore riforma delle pensioni fatta in Europa. La riforma delle pensioni è già stata fatta e viene molto apprezzata in Europa. E, oltre al debito pubblico, si deve considerare anche la finanza privata. Folli Questa posizione, quale possibilità ha di essere accolta in Europa? Tremonti Tanto per cambiare è stata accolta dal G20 a Parigi. Noi riteniamo che sia la posizione giusta anche in Europa. La sinistra è stata la vittima di questa cattiva informazione. Hanno detto: c’è un drammatico problema e dobbiamo fare la patrimoniale. Nella prossima campagna elettorale diremo che loro fanno la patrimoniale e noi no. Folli Politiche per la crescita: c’è una discussione in corso. Prendo un punto che mi sembra cruciale, il fisco, la riforma fiscale. Per il presidente di Confindustria è un punto cruciale, cioè occorre spostare il carico fiscale dalle imprese ai consumi. Tremonti A che ora l’ha detto? Folli Come sta andando la riforma fiscale, che è uno dei grandi obiettivi di questa legislatura? Tremonti L’idea di spostare l’asse del prelievo fiscale dalle persone alle cose io l’ho scritta già nel 1992 in un libro. Era un idea un po’ avanzata rispetto ai tempi. Dicevo: è cambiata l’idea del mondo, è cambiata la struttura politica. Sostenevo che la ricchezza si sarebbe staccata dal territorio. I vecchi sistemi fiscali, cioè quelli che abbiamo ancora oggi, sono idealistici: è lo Stato che controlla. La ricchezza ha cambiato configurazione, deve cambiare anche il fisco. Lo scrivevo nel 1992. Adesso tutti dicono che bisogna spostare il prelievo dalle persone alle cose. Stiamo lavorando ad una riforma fiscale. Abbiamo quattro gruppi di studio molto autorevoli, aspettiamo un rapporto entro due - tre mesi. Sarà un lavoro molto serio che non è mai stato fatto in Italia. Noi vediamo una realtà terribilmente complicata. Il sistema che abbiamo adesso viene dagli anni ‘60 e da allora il mondo è cambiato. E’ cambiata la struttura industriale, la grande fabbrica non c’è più, è cambiata la struttura sociale, è cambiato il rapporto con il territorio, sono cambiate tutte le grandi coordinate. Abbiamo visto una cosa incredibile: da allora il sistema si è sviluppato con due torri di Babele, quella fiscale e quella sociale. Hai lo stesso trattamento - supponiamo - sulla famiglia, che un anno è una detrazione, l’anno dopo è un assegno, poi un contributo comunale, poi è un fondo regionale, poi un’altra detrazione. Le due torri non sono costruite in modo armonico e simmetrico. Noi per la famiglia abbiamo un tasso di spesa pubblica credo superiore alla media europea, ma non ha una evidenza specifica per la diversità degli interventi. L’irrazionalità degli interventi è la cifra dominante di tutto. Ogni anno con una finanziaria diamo un messaggio, facciamo un intervento. Quando facciamo un emendamento noi diamo un messaggio che mi crea una certa reazione, ma non per delirio sistematico. Ora diamo trenta milioni: ma non c’è un rapporto tra i trenta milioni e l’effettiva entità del problema. Noi stiamo lavorando su questo. Sappiamo che lo possiamo fare solo sul presupposto della fattibilità, non possiamo fare avventure. La fattibilità presuppone anche la comprensione della nostra riforma da parte delle istituzioni Internazionali. Folli Intanto la pressione fiscale tende un po’ ad aumentare. Tremonti Trovo questa domanda abbastanza curiosa. La pressione fiscale è un’entità contabile, dipende da un rapporto. Se il PIL scende, la pressione sale. Ma tu vai a spiegare a un anziano che non gli dai la pensione, a un malato che non gli dai le medicine perché è sceso il PIL. Questa è una grossa idea di rigore che dovresti lanciare: indicizziamo lo Stato sociale e il suo prodotto interno lordo. Se quello scende, io riduco la prestazione. E siccome non puoi fare le prestazioni in deficit, devi in qualche modo finanziarle: e allora che cosa fai? Questo è il punto Quando sento dire che il Governo ha tenuto in ordine i conti, la considero una cosa generosa. Ma limitata. Noi in questi anni abbiamo tenuto il bilancio dello Stato. L’abbiamo fatto nella crisi più grave del dopoguerra e l’abbiamo fatto avendo il terzo debito pubblico del mondo. Nel bilancio dello Stato c’è il risparmio delle famiglie. Non è solo tenere in ordine i conti: vi assicuro che è molto di più e molto più faticoso e difficile. Noi abbiamo fatto spesa pubblica e sono orgoglioso di averla fatta. Abbiamo conservato lo Stato sociale. Abbiamo conservato le prestazioni sociali. Tagli lineari? Abbiamo selettivamente concentrato la spesa pubblica sugli ammortizzatori sociali e sono orgoglio di aver fatto quella scelta. Questo ha conservato la pace sociale e il capitale umano delle aziende. Abbiamo tenuto aperto il canale di finanziamenti alle imprese con una quantità molto elevata di interventi. Nel frattempo abbiamo fatto la riforma delle pensioni e stiamo facendo la riforma federale. Questi sono i punti fondamentali. Folli L’Agenzia delle Entrate ha detto che nel 2010 sono stati recuperati 25 miliardi di evasione. La gente si chiede: dove vanno questi 25 miliardi? Tremonti Basta leggere, il Bilancio dello Stato. Folli Magari non tutti hanno la possibilità di leggerlo Tremonti E’ molto semplice: le pensioni, le medicine, gli stipendi, è in tutto questo che vanno. Noi non possiamo fare più deficit, non vogliamo aumentare le tasse. Vogliamo salvaguardare la vita della gente, che per noi sono coloro che prendono le pensioni, le medicine, l’assistenza, l’invalidità. Quei soldi vanno lì: non c’è un tesoretto in più, ma non c’è uno spreco di quelle risorse in più. Per noi la tenuta sociale è stata e sarà fondamentale. |